27 luglio 2007

Dacci oggi il nostro divieto quotidiano

Apprendo dal rinnovato blog di Massimo l'ennesimo divieto quotidiano, solito frutto perverso derivante dalla legge sul diritto d'autore, la m(ef)itica Legge 633/41 (dove 41 sta per 1941, 22 aprile per la precisione). In parole molto povere, tutti i pezzi composti da Battisti o da Celentano non potranno essere trasmessi in modalità webcasting, per es. attraverso una webradio.

La questione è questa: tra i tanti diritti riservati dalla legge agli Aventi Diritto c'è anche quello di decidere dove e come le "loro" opere debbano essere fruite. Beh, sì, sembra che un titolare di diritto abbia la facoltà di decidere se un'opera possa essere trasmessa o meno con un medium anzichè un altro. Immagino che abbiano anche la facoltà di decidere se possiamo o meno fruirne nei giorni pari o in quelli dispari, se per la fruizione dobiammo mettercci in canotta o in abito da sera, e cose così.

Fatto sta che sino a qualche settimana fa, coloro che avevano sottoscritto una particolare licenza SIAE relativa al podcasting, potevano trasmettere i brani che ritenevano esattamente come avviene per le normali radio via etere. Ma recentemente un drappello dei suddetti Aventi Diritto ha fatto sapere alla SIAE che non rilascia autorizzazione per la diffusione delle opere di cui sono titolari via webradio. In parole molte povere, da ora in poi scordatevi di poter ascoltare via web brani quali La canzone del sole o Il ragazzo della via Gluck.

Già, perchè sinora gli Aventi Diritto che ci hanno regalato questo ennesimo divieto sono i titolari dei diritti dei brani composti da Lucio Battisti o da Adriano Celentano, e le relative edizioni musicali (Acqua Azzurra, Aquilone Srl, Clan). Su Celentano non ci esprimiamo: nessuna nuova notizia è in grado di peggiorare il giudizio pessimo che ci siamo fatti sul suo personaggio.

L'aspetto che ci lascia più allibiti di questo ennesimo sopruso derivante dalla attuale legge sul diritto d'autore riguarda le opere di Lucio Battisti che, come noto, è morto nel settembre del 1998, quando il podcasting non era neanche stato inventato e quindi, neanche a volerlo, avrebbe potuto esprimersi al riguardo. Chi ha negato l'autorizzazione è la sua vedova, Grazia Letizia Veronesi. E già, perchè la legge sul diritto d'autore in realtà è la legge sul diritto degli Aventi Diritto che, spesso, non hanno niente a che vedere con gli autori, se non un qualche livello di parentela o, ancora più frequentemente, essere venuto in possesso dei diritti attraverso una mera transazione commerciale.

Oltre ai suddetti due figuri, l'autorizzazione alla diffusione via web è stata negata anche delle seguenti case di edizioni musicali: Bourne Co., Bourne Music Ltd., EMI Music Publishing (limitatamente al repertorio angloamericano), Lunapark Edizioni Musicali, Universal Edition. Se avete una webradio, attenzione quindi a programmare uno qualsiasi dei famosi pezzi della Bourne Co. o della Lunapark. Già, siamo al grottesco.


"Dacci oggi il nostro divieto quotidiano" Compilation

MUSICA PROIBITA - Enrico Caruso
CANZONE PROIBITA - Nini Rosso
GIOCHI PROIBITI - Narciso Yepes
NON MI PROIBIRE - Nicola Arigliano
IL GIARDINO PROIBITO - Sandro Giacobbe
IL PRIMO SOGNO PROIBITO - Gianni Nazzaro
SEVERAMENTE PROIBITO - I Latte e Miele
ATTO PROIBITO - Homo Sapiens
PROIBITA E VIETATA - Mirna Doris
PROIBITO RICORDARE - Vanna Brosio
VERBOTEN - Diego Peano

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Intervengo qui, trascurando la coltivazione delle insulse polemice in altro topos di questo stesso blog. :-)

La situazione delle web-radio è allucinante. E potrei fermarmi qui.

Ma voglio aggiungere ulteriori elementi.

1. Sul contratto di licenza per la diffusione web-radiofonica.

Il contratto (standard SIAE) di licenza alla trasmissione di musica in streaming su una web-radio è ben diverso da quello predisposto per la trasmissione via etere. E ciò, benchè la sostanza dell'attività non muti: esercizio del diritto di diffusione si ha in un caso come nell'altro, anche se il mezzo tecnico è sensibilmente diverso.

Non si contesta, dunque, la presenza di clausole giustificate dalla diversità tecnica del mezzo (ad esempio, è chiaro che la radio tradizionale non consente la sincronizzazione tra musica e immagini), ma la presenza di una clausola che caratterizza pesantemente il solo contratto di licenza per le web-radio.

Alludo alla clausola n. 6, che dispone che "qualora intervenga una specifica richiesta da parte degli aventi diritto, la SIAE potrà inibire l'uso di alcune o di tutte le opere ad essi appartenenti, in relazione al loro particolare utilizzo previsto dalla presente autorizzazione". Analoga previsione, infatti, non è presente nell'ordinario contratto di licenza radiofonica. E ci mancherebbe altro, visto che, a ben vedere, una simile clausola è - a mio modesto avviso - una contraddizione in termini. Vediamo per quale ragione.

La SIAE, per espressa previsione di legge (art. 180 LDA) è monopolista nelle attività di intermediazione relative alle opere dell'ingegno tutelate dalla legge sul diritto d'autore.

Per comodità di lettura, riporto qui di seguito il testo dell'art. 180 LDA.

"L'attività di intermediario, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta di intervento, mediazione, mandato, rappresentanza ed anche di cessione per l'esercizio dei diritti di rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate, è riservata in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori (SIAE).

Tale attività è esercitata per effettuare:
1) la concessione, per conto e nell'interesse degli aventi diritto, di licenze e autorizzazioni per l'utilizzazione economica di opere tutelate;
2) la percezione dei proventi derivanti da dette licenze ed autorizzazioni;
3) la ripartizione dei proventi medesimi tra gli aventi diritto.

L'attività della Società si esercita altresì secondo le norme stabilite dal regolamento in quei paesi stranieri nei quali esso ha una rappresentanza organizzata.

La suddetta esclusività di poteri non pregiudica la facoltà spettante all'autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente i diritti loro riconosciuti da questa legge.

Nella ripartizione dei proventi prevista al n. 3 del secondo comma una quota parte deve essere in ogni caso riservata all'autore. I limiti e le modalità della ripartizione sono determinati dal regolamento.

Quando, però, i diritti di utilizzazione economica dell'opera possono dar luogo a percezione di proventi in paesi stranieri in favore di cittadini italiani domiciliati o residenti nella Repubblica, ed i titolari di tali diritti non provvedono per qualsiasi motivo alla percezione dei proventi, trascorso un anno dalla loro esigibilità è conferito alla Società italiana degli autori ed editori il potere di esercitare i diritti medesimi per conto e nell'interesse dell'autore o dei suo successori od aventi causa.

I proventi di cui al precedente comma, riscossi dalla SIAE., detratte le spese di riscossione, saranno tenuti a disposizione degli aventi diritto, per un periodo di tre anni; trascorso questo termine senza che siano stati reclamati dagli aventi diritto, saranno versati alla Cassa di previdenza dei soci della SIAE, per scopi di assistenza alle categorie degli autori, scrittori e musicisti
".

Ora, i primi due commi, nell'attribuire alla SIAE il potere di concedere licenze, affermano una cosa importante: gli autori ed editori che - iscrivendosi alla SIAE (giova ricordare che l'iscrizione non è obbligatoria) - hanno inteso demandare a tale ente la tutela e la gestione dei propri diritti restano vincolati ai contratti stipulati dalla SIAE.

In altre parole, la situazione è analoga a quella di colui che conferisce una procura a taluno per il compimento di certe attività: allorché il procuratore stipula un contratto o assume in altro modo obbligazioni in nome e per conto del rappresentato, è quest'ultimo a rimanere giuridicamente vincolato.

Ebbene, sostanzialmente la SIAE ha - in ordine alla concessione di licenze d'uso - la rappresentanza ex lege dei propri iscritti. [I quali non possono - né al momento dell'iscrizione, né successivamente - limitare i poteri della SIAE (ad esempio vietandole di rilasciare questa o quella licenza particolari). Anche perché - come previsto dal comma 4 del già citato art. 180 - nessuno impedisce all'autore di gestire direttamente i propri diritti.]

L'art. 6 della licenza in esame, pertanto, introduce una (auto)limitazione dei poteri SIAE ed attribuisce un potere, non altrimenti previsto, agli aventi diritto sulle opere protette. Ma introduce anche una potenziale antinomia sistematica, visto che:
a) la licenza d'uso è un contratto e, in quanto tale, costituisce una vincolante fonte di obbligazioni per le parti (art. 1173 c.c.);
b) una delle funzioni della SIAE è quella di semplificare l'iter di ottenimento delle licenze da parte di terzi, senza la necessità di interpellare, uno ad uno, i singoli titolari dei diritti sulle opere;
c) per questo la SIAE ha, per legge, il potere di stipulare contratti di licenza vincolando i suoi iscritti;
d) l'ottenimento della licenza dalla SIAE mette (anzi: dovrebbe mettere) al riparo il licenziatario da ogni possibile futura sorpresa, garantendogli il pacifico uso di ciò che ha costituito oggetto della licenza;
e) la licenza, detto altrimenti, garantisce alcuni diritti al licenziatario, il quale - dal momento della stipula - avrà certezza di quali siano le proprie facoltà e, soprattutto, su cosa potrà esercitarle;
f) l'introduzione della riserva di cui all'art. 6 del contratto di licenza è, al contempo, contraria allo spirito dell'art. 180 (in quanto - di fatto - spoglia la SIAE dal potere di gestione delle opere attribuitogli dalla legge) ed è contrario allo spirito della disciplina dei contratti, in quanto il contratto, di fatto, obbliga il solo licenziatario (a pagare il prezzo di licenza), non anche i licenzianti (i quali possono sempre - anche dopo la stipula del contratto - tirarsi indietro).

Anzi, a voler affondare il "ferro" nella piaga (magari esagernado anche un po', ma nemmeno tantissimo), si deve osservare che il contratto di licenza sembra a rischio di invalidità (sub specie di nullità), per un vizio dell'oggetto. Invero, paradossalmente, l'art. 6 consentirebbe a tutti gli autori iscritti alla SIAE di formulare - dopo la stipula delle licenze per la trasmissione web-radiofonica - la prevista riserva, sottraendo al licenziatario tutte le opere per le quali il contratto è stato stipulato. Insomma, in tal modo, verrebbe a mancare l'intero oggetto della licenza e la stessa, in virtù di quanto previsto dall'art. 1346 c.c., sarebbe nulla.

Ma pur volendo sorvolare su argomenti accademici (appartenenti, se si vuole, alla categoria del fantadiritto), non può non sottolinearsi la stranezza di un contratto che non vincola una delle parti - la quale non si è riservata la facoltà di recedere (il che sarebbe del tutto plausibile), ma quella di sottrarre al contratto il suo oggetto -, facendo restare vincolata l'altra parte.

Come dire: in nome e per conto del proprietario ti concedo in locazione per il tal canone il tale immobile; riservo al proprietario il diritto di escludere la locazione del tale immobile anche se tu dovrai comunque continuare a pagarmi il canone!

Se non fosse vero, avrei difficoltà a crederci.

2. Sulla incidenza negativa di alcuni modelli contrattuali sul mercato.

Ciò detto, resta da riflettere sugli aspetti, per così dire, macroeconomici di simili modelli contrattuali, visto che – in realtà – la web radio è indubbiamente una forma relativamente nuova di broadcasting e che tale attività è qualificabile senza dubbio come attività di impresa.

Ebbene, modelli contrattuali sul genere di quello testè esaminato non aiutano il diffondersi delle web radio, lasciate nell'incertezza sulla portata oggettiva della licenza d'uso acquisita. Immaginiamo cosa accadrebbe se un contratto di franchising non determinasse l'oggetto dell'attività del concessionario o attribuisse al concedente il diritto di mantenere vincolata la controparte senza alcun onere per sé: nessuno stipulerebbe tali contratti e le attività in franchising scomparirebbero in un batter d'occhio.

Indubbiamente certi modelli contrattuali non sono utili ad un pieno ed armonico sviluppo del mercato (inteso come luogo virtuale in cui competono, nell'offerta di beni e servizi, in posizione di sostanziale parità più soggetti).

Alzando per un momento gli occhi ad osservare il complessivo panorama, sembra che – e non è un fenomeno solo italiano – vi sia la ferma volontà di rallentare (per quanto possibile) il decollo di alcune funzionalità della Rete (laddove la rete, almeno fino ad ora, costituisce un mercato troppo vasto per essere controllato da pochi grandi operatori ed ancor più dove la rete non è più o non è ancora mercato). Il pretesto è costituito dal diritto d'autore, ma l'obiettivo è quello di favorire non gli autori (di cui non gliene importa nulla a nessuno, a meno che non si siano rivelati galline dalle uova d'oro) ma di impedire il sorgere ed il consolidarsi di forme di business più efficienti e meno costose.

Il discorso torna – come un vecchio vinile rigato che fa “incantare” la puntina – sul ruolo pervasivo delle majors nella società dell'informazione e sulla loro capacità di condizionare le scelte politiche (a livello pubblico) e contrattuali (a livello privato), imponendo regole standard in grado di scontentare tutti, fuorche i loro azionisti di riferimento. E sarebbe opportuno aprire un tavolo di discussione su altri modelli contrattuali (non su quelli di licenza d'uso), relativi alla corporate governance e alle concentrazioni anticoncorrenziali di tali imprese, visto che:
a) da una parte – nella prospettiva classica – all'interesse dei manger (all'apprezzamento delle azioni, per poter lucrare sui compensi o, peggio, sulle stock options) e dei soci investitori (alla ripartizione degli utili) occorre contrapporre i cosiddetti “interessi ulteriori” e, in particolare, quello della collettività dei consumatori;
b) dall'altra – e alludo alle pratiche anticoncorrenziali – i monopoli (di fatto o di diritto) non sono quasi mai auspicabili (per ragioni di efficienza economica facilmente intuibili), a maggior ragione se il mercato di riferimento è l'intero Pianeta.

Le imprese che “maneggiano” prodotti coperti da diritto d'autore, infatti, rivestono un ruolo di una certa importanza nella “catena di montaggio” del bene immateriale “cultura” e nella crescita o nell'involuzione – o, se si preferisce, nel rattrappimento – spirituale e civile degli individui. Lasciare nelle mani di un gruppo ristretto di società globali (cioé, mondiali) le industrie della discografia, dell'editoria, del cinema e delle trasmissioni radiotelevisive può determinare danni irreparabili all'Uomo ed al suo sistema valoriale e culturale.

3. Sulla funzione anticoncorrenziale del diritto d'autore e dei diritti di privativa industriale e sulla pervasività del loro modello di tutela.

Alla scarsa sensibilità delle majors per gli “interessi ulteriori” e per la concorrenzialità deve aggiungersi – tra i fattori di pericolo – l'elemento anticoncorrenziale per eccellenza: il monopolio d'autore. Sul tema abbiamo già discusso qui, io e Chartitalia, un po' di tempo fa, e non sto ora a ripetere tutto quanto si è detto.

Faccio solo presente che la configurazione strutturale dei diritti (monopoli) d'autore, in tempi di dematerializzazione della ricchezza, sta diventando il dominante modello di tutela degli interessi dei titolari di tale ricchezza. Non solo – dunque – canzonette, scultura, pittura, musica e letteratura (ambiti tradizionali del diritto d'autore), ma documentari, notiziari, trasmissioni televisive (i cosiddetti “format”), banche dati (dall'elenco del telefono ai repertori di giurisprudenza), immagini di eventi sportivi (in particolare i cosiddetti “diritti televisivi” sulle partite di calcio), nomi a dominio, e chi più ne ha più ne metta. Come chiunque può verificare, beni che poco o nulla hanno a che fare con le opere dell'arte.

Si tratta di un modello pervasivo, che introduce limiti sempre più penetranti alla libertà (d'impresa e non solo) delle persone e che trova la sua naturale tutela in forme preventive (cioè massimamente repressive, si veda quanto già detto qui) di intervento giurisdizionale. Infatti, il principale riferimento normativo di tale forma di tutela è costituito dall'art. 156 LDA, il cui testo dispone che “chi ha ragione di temere la violazione di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante in virtù di questa legge, oppure intende impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta, può agire in giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia interdetta la violazione”. Come si vede (ma, in altre sedi, mi sono permesso di fornire un'articolata interpretazione – meno devastante – del citato testo; anche se, per chiarezza, mi corre l'obbligo di avvertire che l'interpretazione del sottoscritto è largamente minoritaria), basta temere una violazione (futura) per far scattare una misura di inibizione dell'attività altrui.

4. In fine.

Per chiudere, vorrei fare un cenno – anzi: riportare un suo breve passo – all'opera (di cui è consigliata la lettura agli appassionati del genere), del giurista americano Lawrence Lessig, Free culture (tr. it. Cultura libera, Apogeo, 2005, p. 3).

"Una cultura libera non è priva di proprietà; non è una cultura in cui gli artisti non vengono ricompensati. Una cultura senza proprietà, in cui i creatori non ricevono un compenso, è anarchia, non libertà. E io non intendo promuovere l'anarchia.

Al contrario, la cultura libera che difendo in questo libro è in equilibrio tra anarchia e controllo. La cultura libera, al pari del libero mercato, è colma di proprietà. Trabocca di norme sulla proprietà e di contratti che vengono applicati dallo stato. Ma proprio come il libero mercato si corrompe se la proprietà diventa feudale, anche una cultura libera può essere danneggiata dall'estremismo nei diritti di proprietà che la definiscono.
"

chartitalia ha detto...

Ottimo intervento Gianluca.
Vedi che quando non cazzeggi su polemiche insulse ti vengono fuori degli interventi superbi? (beh, scherzi a parte, poteva essere divertente andare avanti su una polemica del cazzo magari per 3 o 4 mesi, tanto il tema si prestava a tutte le disquisizioni di questo mondo...).
Sarebbe però il caso di diffondere questo tuo intervento nel mondo delle webradio che è un po' sconcertato dal comunicato SIAE.

Anonimo ha detto...

Che dire Gianluca, quoto in toto (anchese ciò capito una mezza cippa... scherzo)
Approfitto anche per ringraziare Chartitalia per la citazione.
Dal mio personale punto di vista la situazione delle web-radio non solo è allucinante per le ragioni spiegate da Gianluca (e la clausola 6 sarebbe advvero da approfondire magari in senso vessatorio) ma perché, svolta come vorrei io, cioè ad "uso del tutto personale", ma anche perché limitata pesantemente la mia volontà d'espressione. Ho passato l'intera mia vita tra radio e locali ad inventare modi di comunicare con le persone, ho già detto, forse Battisti o Celentano non li inserirei in un palinsesto ma che sia costretto o ridotto a semplice juke-box, mi è alquanto fastidioso. Nonostante non abbia in mente di introdurre pubblicità o altro, sono anche disposto a pagare la relativa quota per le "web-radio personali senza scopo di lucro" ma almeno lascitemi Battisti se nel mio "personale" Battisti c'è stato....

Chiedo l'autorizzazione sia a te Gianluca che a chartitalia di poter "blogghizzare", riportare in forma articolo su Radio Atlantide questo commento...
tenchiù! :)

Anonimo ha detto...

acci, vedi ad essere costretto a scrivere a rate che succede.. scusate gli errori

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