Lunedì 30 luglio, per una strana coincidenza, sono scomparsi due dei maestri del cinema europeo tra i più grandi di sempre: lo svedese Ingmar Bergman ed il ferrarese Michelangelo Antonioni. Due tra quelli che mi hanno fatto amare questa forma espressiva straordinaria. E questo singolare appuntamento con la morte che questi due giganti si sono dati ci costringe a sorprenderci su alcune similitudini cui forse non avremmo pensato. Entrambi europei, entrambi intenti a scavare nella insondabilità dell'animo umano, entrambi prediligevano ambientare le loro storie in ambienti borghesi, entrambi alle prese con l'enigma dell'esistenza, entrambi più affascinati dagli aspetti onirici più che da quelli realistici. Ed antrambi spesso alle prese con l'introspezione di personaggi femminili.
Certo, diversissimi erano le loro origini (il rigore dei paesi nordici per il primo e la afosa bassa padana per il secondo), la loro formazione (figlio di un pastore luterano e studi letterari per il primo, istitututo tecnico e laurea in economia per il secondo), la quantità della loro produzione (42 film in 89 anni per il primo, poco più di 15 in 95 anni per il secondo), le scelte esistenziali (5 mogli ufficiali + varie compagne - tra cui Liv Ullman - e 9 figli per il primo e solo un paio conosciute per il secondo - tra cui Monica Vitti - e non ho notizie di suoi figli). Ma entrambi riuscirono a cattuare i disagi, le inquietudini. l'incomunicabilità degli anni dai '50 agli '80.
Così mentre Antonioni si afferma con Cronaca di un amore (1950), I vinti (1953), Le amiche (1955) e Il grido (1957), Bergman esplode internazionalmente con pellicole splendide quali Un'estate d'amore (1951), Monica e il desiderio (1953), Una vampata d'amore (1953), Una lezione d'amore (1954), Sorrisi di una notte d'estate (1955) sino ai capolavori assoluti di Il settimo sigillo (1956) e Il posto delle fragole (1957).
Negli anni '60 Antonioni sforna quella che verrà poi contraddistinta come "la trilogia dell'incomunicabilità" con tre capolavori assoluti quali L'avventura, La notte e L'eclisse, Bergman sforna la sua "trilogia sul silenzio di dio"con film quali Come in uno specchio (1960), Luci d'inverno e Il silenzio. Inutile ricordare che tutti questi film fecero man bassa di premi e riconoscimenti internazionali, tra cui Palma d'Oro a Cannnes ed Oscar americani.
Nel 1964 entrambi si cimentano per la prima volta con il colore: Antonioni con Deserto rosso, spledidamente fotograto da Carlo Di Palma; Bergman si cimenta invece nella sua quarta e ultima commedia dai risvolti grotteschi, A proposito di tutte queste signore, fotografato da Sven Nykvst: raffinato divertissement acido e sbeffeggiante.
Nel 1966 fanno uscire due tra i loro film più "moderni" e"sperimentali" che contribuiscono a caratterizzarne l'opera: Antonioni con Blow-up, insieme riflessione sul mistero e sulla oniricità dell'esistenza; Bergman con Persona, girato nella cornice di una camire d'ospedale.
Gli anni '70 ci regalano i capolavori del periodo della maturità: Zabriskie Point e Professione: Reporter per Antonioni e Sussurri e grida, Scene da un matrimonio, Il flauto magico e L'immagine allo specchio per Bergman.
Mentre nel 1982 entrambi praticamente si congedano dal grande schermo (anche se saranno attivi professianlmente sino a pochi anni fa): Bergman con un capolavoro assoluto come Fanny e Alexander, Antonioni con l'ennesimo ritratto femminile di Identificazione di una donna.
Beh, che altro dire? Che le loro opere fortunatamente non ci lasciano: sono lì, in attesa di essere viste, e/o riviste.
Articolo precedente della serie: Sergio Bardotti
01 agosto 2007
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