Questa settimana ho messo sul piatto e lasciato andare indefinitamente quello che viene considerato come la nascita dell'era moderna nel jazz: The Shape of Jazz to Come del quartetto di Ornette Coleman. L'uscita di tale album, nel 1959, viene fatta coincidere con la nascita dell'ennesimo, ultimo, stravolgimento stilistico nella storia del jazz: il cosiddetto "free jazz".
In parole molto povere, nel free jazz, l'improvvisazione non ruota più intorno a variazioni più o meno estreme su temi e sequenze di accordi (come accadeva nella generazione precedente) ma è l'improvvisazione stessa a diventare tema, espresso in maniera liberamente soggettiva.
Il titolo dell'album, è un vero e proprio programma: "la forma del jazz da qui in poi". E molti affermano che così è stato: da lì in poi il jazz non è più stato lo stesso. Evoluzione abbastanza naturale per un musicista che, all'età di 16 anni, rischiò di essere malmenato dai suoi ascoltatori perchè irritati dalla sua musica. E la fama che circonda l'album, comunque uno dei più importanti ed influenti della storia della musica, non depone a farlo inserire tra i primi posti delle classifiche di easy listening...
Certamente è un album destinato ad essere apprezzato sopratutto dagli addetti ai lavori più che dal grande pubblico, considerando la grande importanza che assume dal punto di vista della evoluzione formale: melodie che diventano armonie, tant'è che si è dovuti ricorrere ad un nuovo termine, armolodia. Cioè una teoria musicale personalissima ma indissolubilmente in sintonia con le avanguardie culturali dell'epoca, fatta di melodie multistrato politonali, sorrette da strutture poliritmiche.
Beh, devo confessarvi che ai primi ascolti anch'io ho fatto un po' di fatica a gustarlo. Ma dal secondo giorno di ascolto ripetuto del brano di apertura dell'album, Lonely Woman (un vero e proprio cult), il brano ha iniziato a risultarmi familiare e ad ogni ascolto successivo, le cose sono andate in discesa: l'orecchio si era ormai abituato.
"The shape of Jazz to come" è certamente un must nella discoteca di qualsiasi appassionato di jazz e di musica in generale: per alcuni a fini di pura documentazione, per altri perchè è una pietra miliare, per altri ancora perchè è un capolavoro. Per quanto mi riguarda credo di appartenere alla seconda categoria.
Voto: 8/10
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