Premesso che chi vota questa destra mi fa schifo, questa destra è capace di tutto, sinanche passare sopra i cadaveri pur di arricchirsi, come le vicende della clinica privata milanese Santa Rita hanno dimostrato. Così, giusto per ricordare, citiamo questo titolo dal Corriere: "Tra le accuse cinque omicidi aggravati e interventi non necessari: come l'asportazione di un seno a una 18enne". Ma è l'intero modello della sanità lombarda, fortemente voluto da Firmigoni, ad essere malato e a condurre alle aberrazioni della Santa Rita.
Sarebbe facile criticare il sistema sanitario lombardo partendo dal ripetersi dei procedimenti giudiziari che hanno per oggetto comportamenti opportunistici di molti operatori privati. Il caso più eclatante, lo sappiamo tutti, è quello della Clinica Santa Rita. Di solito si rievocano questi episodi per criticare i cosiddetti pilastri del modello lombardo di sistema sanitario, ovvero la libertà di scelta e la parità degli operatori pubblici privati. È opportuno approfondire invece il quadro e non limitarsi a rammentare le pur rilevanti sfasature del sistema, costituite peraltro dalla decine di inchieste della magistratura per truffa ai danni del servizio sanitario nazionale.
Crediamo anche che sia utile ricordarci che il settore sanitario, di cui la Regione Lombardia è competente esclusiva per la sua organizzazione e gestione, dopo le note innovazioni costituzionali, ha rappresentato uno dei campi di sperimentazione (se non il principale) del “modello lombardo” voluto da Formigoni e i suoi. Un modello che non è più solo declinato nella sanità, nel sociale, nella scuola ma assurge a modello complessivo di organizzazione politica e di gestione pubblica: nel rapporto di legislatura del 2010 è definito come «modello sussidiario».
Un modello, secondo i promotori, d’innovazione politica e organizzativa della macchina regionale ma soprattutto del sistema del welfare. Tornando alla sanità, nello stesso rapporto si riafferma la libertà di scelta come principio fondante. Ricordiamo che il sistema si basa sulla parità degli operatori pubblici e privati e che l’afflusso ai vari servizi è deciso dalla libertà di scelta dell’utente. Corollario a questo principio è una definizione di un “quasi mercato” dove la scelta individuale determina il successo dei vari operatori del mercato lealmente concorrenti.
Le critiche che sin dall’inizio sono state fatte al modello lombardo oggi hanno prodotto storture, oggi ammesse dagli stessi studiosi fedeli alla maggioranza. Esse riguardano:
a) la cosiddetta asimmetria informativa (cioè l’utente non ha tutte le informazioni necessarie per scegliere il migliore erogatore di cure) anche se deve essere assistito in questa scelta dal medico curante;
b) la difficoltà dell’accesso dei vari servizi (una carente programmazione dei servizi causata dalla libertà di organizzazione dell’offerta, perché un imprenditore della sanità punta in prima battuta su ciò che è più redditizio);
c) la scrematura dell’utenza, cioè la ricerca degli utenti più sani o bisognosi di cure più redditizie (ovvero il malato ideale è quello meno malato).
Alcuni studi hanno dimostrato che l’utente sceglie poco. Altri capisaldi del sistema sono l’accreditamento e la valutazione dei risultati. Sui controlli dobbiamo rivelare che non sono riusciti a scoprire casi clamorosi come quelli successi alla Santa Rita. Formigoni ha più volte detto che si trattava di mele marce in un paniere pieno di mele sane. Ma da allora sembra che nulla sia cambiato e soprattutto sembra che non sia cambiato un rapporto contrattuale medico-clinico basato sul numero delle prestazioni, ossia con una percentuale sul ricavo per caso trattato ottenuto dalla clinica. Sicuramente le certezze che magnificavano i meccanismi di mercato come toccasana per l’inefficienza del sistema sanitario pre-formigoniano sono state intaccate.
L’aspetto che appare meno affrontato con onestà intellettuale appare quello della verifica dei risultati dal punto di vista degli obiettivi di salute pubblica. Quali devono essere? Ed è vera e in che cosa consiste l’eccellenza del sistema? A parte una pubblicazione del 2001 che pubblicava un quadro epidemiologico degli anni 1998/1999, questo meraviglioso sistema non pubblica alcuna relazione sanitaria che definisca i risultati in termini di salute raggiunta per un determinato periodo. Pensiamo solo se l’Organizzazione Mondiale della Sanità non producesse rapporti su rapporti circa lo stato di salute delle popolazioni, ma desse solo un insieme di dati sui ricoveri fatti e sulle prestazioni erogate. Se si scorre anche il recente rapporto di legislatura, vedremo qualche tabella ma nessuno studio sistematico dello stato di salute della popolazione. Insomma la libertà di scelta si è trasformata in libertà di offerta e basta e oggi è indubbio che vi sia una maggiore offerta per le cure cardiochirurgiche, ortopediche ed oculistiche mentre in altri settori vi è una carenza di strutture.
Un sistema è eccellente in sanità se riesce a soddisfare i bisogni di cura e diagnosi per quasi tutte le patologie ed è dotato di tutte le innovazioni tecnologiche e le dotazioni professionali per affrontare i casi più complessi. In Lombardia il sistema in questo senso è eccellente. Questo non significa che il sistema non possa e non presenti aspetti critici. Ad esempio è indubbio che il sistema sanitario USA sia d’eccellenza ma non per questo può essere definito universalistico, cioè un sistema che garantisce a tutti un medesimo livello di assistenza sanitaria. Allora ad una domanda è necessario rispondere: il sistema sanitario lombardo garantisce le cure per tutti ed è attrezzato per affrontare gli attuali e prossimi volumi di domanda assistenziale e sanitaria?
Un dato appare impressionante: gli ultrasettantacinquenni della nostra regione sono cresciuti in 5/6 anni del 25 % passando da 750.000 a più di 900.000. Tutti riconoscono, a parte Formigoni, che con l’età le malattie sono più ricorrenti. In termini economici si prevede a livello europeo che la spesa sanitaria, solo per il processo dell’aumento medio della sopravvivenza (5anni dal 1990) che la spesa aumenterà del 7% ogni anno. Per il 2010 la spesa sanitaria regionale programmata aumenterà del 3%. Questo è e sarà il problema: non solo garantire le cure per gli eventi avversi acuti ma come affrontare le malattie d’invecchiamento e croniche. Ossia come garantire la cosiddetta continuità assistenziale. Dopo la cura in ospedale la convalescenza oppure lo stato di
cronicità come sarà affrontato?
La rete ospedaliera orientata alla cura della malattia acuta è stata via via sguarnita dei letti di medicina generale e di lungo degenza. Vi è stata una riduzione dei letti ma quelli di medicina generale sono stati ridotti della metà. La dimissione precoce di molti anziani significa scaricare sulla famiglia (quando esiste) un onere di cura a volte dirompente. Il lato oscuro del sistema sanitario lombardo è proprio questo, l’incapacità di dare una risposta strategica alla domanda assistenziale degli anziani e dei cronici. Nel concreto spesso il percorso di cura ha le seguenti tappe: ricovero in ospedale nella fase acuta, riabilitazione per in massimo di 60 giorni e se la famiglia non è in grado ricovero nella Residenza Assistenziale dove l’onere per più del 50% è a carico del paziente o dei suoi familiari.
Si afferma nel rapporto di legislatura:
Se da una parte, quindi, il sistema lombardo garantisce elevate performance sanitarie nella cura delle acuzie, dall’altro emergono interstizi tra un sistema e l’altro non sempre presidiati. In questo quadro le famiglie appaiono gravate da crescenti carichi di cura assistenziali (e non solo), prive di un orientamento specialistico in grado di connettere i diversi momenti di cura; gli interventi pubblici rischiano di rimanere percepiti e praticati in termini settoriali, non coordinati e quindi onerosi in termini economici, ma esigui rispetto al bisogno (sanitario, assistenziale, relazionale) vasto complesso e articolato che si sta manifestando e che tenderà a peggiorare (p. 322).
Ma se questo è vero, la funzione che si vuole che sia svolta dalla famiglia diventa nella realtà una privatizzazione della cura a carico della famiglia e una rimozione della responsabilità pubblica e dello stesso principio universalistico. La sussidiarietà orizzontale che è il fondamento teorico e ideologico del modello diventa non un potenziamento dei diritti di cittadinanza, ma un loro impoverimento, perché può funzionare in rapporto al livello economico o relazionale del cittadino.
Il modello prima sperimentato nella sanità si diffonde negli altri campi che ha come strumenti funzionali la dote, la libertà di scelta e l’accreditamento/valutazione. Con la dote e/o voucher si assegna all’utente un buono di spesa che può essere speso per avere determinate prestazioni assistenziali. Il cittadino decide a chi rivolgersi e qui viene ancora una volta applicata la cosiddetta libertà di scelta. Il welfare plurale e sussidiario così viene ulteriormente definito e non deve essere solo una declinazione della prospettiva classica del quasi mercato con a base la libera scelta, ma secondo coloro che si stanno rendendo conto delle smagliature del modello, la famiglia deve trasformarsi in unità di offerta a cui la Regione dà aiuto per svolgere questa funzione. Ecco la soluzione sussidiaria.
La responsabilità pubblica poi in un sistema di esternalizzazione ripetuta non può essere più rintracciabile e non viene perseguita per legge in casi tristemente esemplari come la Santa Rita. Il controllo è stato effettuato? Come è stato fatto? La responsabilità è solo dell’operatore finale, del medico? Il nostro sistema di sanzioni è per lo meno ridicolo se confrontato alle sanzioni esistenti per casi analoghi nel sistema americano. La sospensione dell’accreditamento e del rapporto con gli Enti pagatori pubblici sarebbe stato almeno di 10 anni e non di due mesi come è avvenuto per la Santa Rita. Ma tutto questo ricorso al privato ha isolato il sistema sanitario dall’influenza politica? La cosiddetta aziendalizzazione ha prodotto una scala di merito e di responsabilità in rapporto alle capacità gestionali, terapeutiche e diagnostiche?
Abbiamo potuto rilevare che vi è spartizione rigidamente concepita nel momento delle nomine dei vari direttori generali delle Aziende Ospedaliere e Locali. Ogni anno viene fatta una valutazione in base a dei criteri determinati a livello centrale tra i quali non svettano certo i parametri di risultato in termini di salute dei cittadini. Alla fine quello che conta sopratutto per la nomina dei vertici è l’appartenenza politica e il punteggio di valutazione è influenzato anche da questo aspetto. Non solo: le nomine dei vertici sanitari seguono anch’essi questo principio. Non vale l’esperienza o le pubblicazioni scientifiche quanto piuttosto l’appartenenza riconosciuta e visibile al gruppo politico della maggioranza.
(da "Il libro grigio della giunta Formigoni" di Giuseppe Civati & Carlo Monguzzi)
Puntate precedenti:
R come Razzismo istituzionale
Q come Quarto mandato (a casa)
P come Pannelli solari
O come Oil for Food
N come Nuova sede, vecchi sprechi
M come Malpensa
L come L'Aquila
I come Idrogeno
H come Haiti
G come Giustizia ad orologeria
F come Ferro (poco) e smog (parecchio)
E come Eluana
D come Diritti negati
C come Comunione e Liberazione
B come Bonifiche (e Bonifici)
A come Arese
Cielo grigio su, cielo grigio giù
22 marzo 2010
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